Mentre la SERP di Google ultimamente sembra riempirsi sempre più di immagini, preannunciando una nuova interessante sfida all’orizzonte, il colosso di Mountain View aggiorna i suoi strumenti e propone finalmente alcune soluzioni concrete ai problemi quotidiani di ogni SEO. Vediamo cosa c’è di nuovo sotto il sole di aprile.
Le regex approdano su Google Search Console
Sorpresa non da poco quella che i SEO hanno trovato la settimana scorsa nell’uovo di Pasqua di Google: Search Console ha finalmente deciso di integrare le espressioni regolari (regex) nei filtri del suo rapporto sul rendimento, permettendo così ai webmaster di effettuare ricerche molto più dettagliate. Le regex sono un metodo flessibile ed efficace utilizzato in informatica per processare il testo sulla base di “pattern” che consentono, fra le altre cose, di:
- Individuare schemi specifici di caratteri;
- Validare un testo in modo che sia coerente con un pattern predefinito (ad es. un indirizzo e-mail);
- Estrarre, modificare, sostituire o rimuovere stringhe di testo.
Secondo l’esempio fornito da Google stessa, se la tua azienda si chiama “cats and dogs” ma vuoi filtrare le query del rapporto sul rendimento includendo in una sola ricerca anche gli spelling alternativi con cui gli utenti cercano comunemente la tua azienda, ad esempio “cats & dogs” o “c&d”, adesso potrai farlo utilizzando le regular expression:
La funzionalità si applica sia alle query sia alle pagine ed è operativa anche in modalità “Confronto”. Per l’occasione, le tabelle di GSC sono state estese in grandezza in modo da includere set di dati più ampi e rendere più semplice il loro confronto visivo.
Per testare le tue espressioni regolari puoi usare questo strumento, mentre per consultare la sintassi utilizzata da GSC ti rimandiamo a questa pagina.
Attendiamo a questo punto di poter vedere implementata anche la funzionalità di monitoraggio dei click provenienti dai featured snippet, richiesta sempre più a gran voce dai SEO e specialmente dopo che Google ha negato a gran voce i dati della ricerca di Sparktoro, secondo la quale il 65% delle ricerche abbinate a questo tipo di risultati terminerebbe senza che venga fatto alcun clic.
Product Reviews Update: il contenuto è ancora re
Appena sfornato un altro aggiornamento dell’algoritmo di ricerca, riguardante stavolta le recensioni dei prodotti. Con questo update, Google mira a dare maggiore visibilità alle descrizioni più approfondite e curate, scritte da esperti o appassionati del settore che conoscono bene l’argomento di cui parlano. La novità è coerente con lo storico impegno di Google a favore della produzione di contenuti realmente utili per gli utenti.
Cosa cambia allora per i proprietari di siti web, in termini di contenuti? Sicuramente da ora in poi dovranno investire più cura e tempo nella presentazione dei propri prodotti, includendo, se possibile, analisi quantitative o comunque paragoni con prodotti simili o versioni precedenti dello stesso prodotto, e dettagliandone tutte le caratteristiche fisiche, i possibili ambiti d’uso, i suoi benefici (così come risultano da ricerche concrete) e così via. Insomma, contenuti unici, ricchi, utili: non il solito tema striminzito. Just a friendly reminder that content is king.
Il Product Reviews Update è attualmente in fase di roll-out per la lingua inglese, ma arriverà a breve anche da noi.
Debunking LSI, ovvero il più antico falso mito della SEO
Tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana, esisteva il Latent Semantic Indexing. Scopo dell’LSI era quello di analizzare corpi di documenti ed elaborare statistiche sulle co-occorrenze di parole in modo da estrapolare il significato di tali parole e dell’argomento delle pagine in cui si trovavano. L’LSI risolveva dunque i problemi della sinonimia (parole diverse con lo stesso significato) e della polisemia (stessa parola con più significati).
Questa tecnologia, brevettata nel 1988, non avrebbe potuto tuttavia essere applicata all’intero World Wide Web, perché i calcoli operati attraverso di essa avrebbero dovuto essere ripetuti ogni qualvolta una nuova pagina fosse stata pubblicata sul web e indicizzata. L’LSI si applica invece ai database più piccoli e, soprattutto, non in continuo divenire come lo è il mondo di internet.
Tuttavia, per ragioni ignote ai più, per molto tempo si è pensato che Google ne facesse uso. In anni recenti, a supporto di questa teoria è stato spesso portato ad esempio un saggio del 2016 che, in realtà, parlava di tutt’altro. Prima di allora, il fraintendimento era nato forse dall’acquisizione nel 2003, da parte di Google, di un’azienda chiamata Applied Semantics, creatrice di un algoritmo per l’analisi semantica. Da qui a unire puntini con rette immaginarie il passaggio è purtroppo spesso breve.
Ma ripetiamolo tutti insieme: Google non usa l’LSI. Google usa BERT e il machine learning ed è in grado di comprendere il linguaggio naturale con tutte le sue sfumature, in modo corretto. Confondere le due cose è come scambiare la macchina dei Flintstones con una Tesla.
Mobile First Index non ti temo… o forse sì?
John Mueller ha recentemente puntualizzato che un sito mobile friendly non è necessariamente pronto per il mobile-first indexing. Affinché Google decida di spostare un sito nel mobile-first index, questo deve infatti rispettare altri importanti criteri, in particolare la corrispondenza perfetta di contenuti – perlomeno quelli “critici” – fra versione desktop e versione mobile: non soltanto il contenuto testuale, ma anche pulsanti, link interni, immagini e dati strutturati.
Per verificare con quale crawler, desktop o mobile, Google scansioni il tuo sito in maniera prioritaria, accedi al rapporto Copertura di GSC: troverai tale indicazione nella parte in alto a destra della schermata principale.
Ricordiamo inoltre l’importanza delle ottimizzazioni dei Core Web Vitals per quanto riguarda il punteggio di un sito lato mobile. Uno studio recente di BrightEdge ha evidenziato che la compressione delle immagini sembra giocare un ruolo importantissimo per le aziende che desiderano ricevere una promozione con i CWV e che le pagine più performanti al momento risultano essere quelle di carattere informativo. Tra i settori che risultano più preparati ad affrontare il Google Page Experience Update spicca quello della finanza, da sempre molto competitivo in termini di ottimizzazioni per i motori di ricerca.
Per approfondire, ti rimandiamo al report integrale pubblicato da BrightEdge.
Un consiglio per migliorare l’indicizzazione
Come gestire l’indicizzazione dei testi nascosti dietro ai pulsanti del tipo “Load More”? La risposta è semplice: non usandoli. Google, infatti, non clicca sui bottoni come i suoi utenti umani. Di conseguenza non indicizza niente di ciò che viene caricato da un pulsante. L’alternativa consigliata è quella di usare link statici che portino l’utente verso una nuova pagina con un contenuto a sé stante. Con JavaScript è possibile far sì che la pagina dia l’impressione all’utente di caricare contenuto all’interno della stessa pagina quando invece sta caricando contenuto da una pagina differente, in modo da offrire un’esperienza di navigazione più fluida.