Come ottimizzare il nostro sito puntando alla crescita? Per raggiungere lo scopo dobbiamo fare leva sulla Conversion Rate Optimization. Una strategia essenziale per acquisire nuovi clienti, ma non solo: l’approccio CRO è anche un vero e proprio “stile di vita” a livello aziendale, che sarebbe bene abbracciare per cambiare davvero mindset.
La chiave? Comprendere che miglioramento significa fare piccoli passi – testabili e misurabili – anziché pretendere numeri strabilianti in un tempo molto breve, e fare pace con il concetto di fallimento, dove per fallire si intende raccogliere i frutti e gli insegnamenti di un test andato male.
Da dove iniziare? Nel digital, le opinioni non esistono
“Facciamolo un po’ più blu”: quante volte capita che gli stakeholder – coinvolti solo per mere ragioni politiche in un meeting tecnico – impongano un punto di vista assolutamente personale e non basato su dati? Nel digital, in generale, e nell’implementazione di un approccio CRO in particolare, applicare le nostre opinioni ed incrociare le dita affinché funzionino, non è mai un’opzione.
Dare credito alle opinioni dell’hippo (highest paid person) di turno è ancora oggi il metodo più utilizzato in molte aziende, ma le convinzioni arbitrarie difficilmente portano a risultati performanti.
È bene adottare un approccio rigoroso, identificare i problemi, le relative cause, calarci nei panni dei nostri clienti, nelle loro aspettative e bisogni: al tavolo del team che si occupa delle modifiche a un sito web, i decision maker dovrebbero essere proprio loro, gli utenti.
Testare ogni cambiamento, sia in termini quantitativi sia qualitativi, questo è l’imperativo. Per quanto dura da accettare, le opinioni non valgono nulla… Anche se a volere quella modifica in homepage è il proprietario di tutta la società!
Ipotesi informate basate sui dati: data-driven thinking
“If it can be a test, test it. If we can’t test it, we probably don’t do it” sostiene Stuart Frisby, Director of Design di Booking.com.
Poniamo un caso pratico: un grande marchio di moda vuole effettuare un restyling del proprio sito e-commerce. Nessuno sa davvero cosa funzionerà senza aver fatto prima un’analisi approfondita e aver verificato le proprie ipotesi.
In primis, è davvero necessario cambiare il sito da zero? Redesign totale o parziale?
A volte, puntare su piccole modifiche testabili che portino a dei miglioramenti in termini di conversion è da preferire rispetto ad un redesign completo, un progetto ambizioso, che si basa però solo su dinamiche aziendali e vanity metrics.
Le tappe della road map da affrontare sono: analizzare i dati, formulare delle ipotesi, verificarle attraverso i test, ottenere nuovi dati da analizzare. E via così, in un vero e proprio circolo virtuoso.
Ricerca qualitativa e quantitativa: non solo come e quanto, ma anche perché
La CRO e i suoi metodi non comprendono soltanto una componente numerica ma anche un lato molto più umanistico, psicologico e interpretativo.
Si tratta, infatti, non solo di capire come, quanto e quando i nostri potenziali utenti navigano il nostro sito, comprano un oggetto, si bloccano su un acquisto etc… L’approccio corretto è quello di chiederci anche e soprattutto il “perché” di un fenomeno.
Generalmente si parte da un’analisi euristica, cioè una overview generale basata su quelle che vengono considerate le best practice della user experience.
Esistono poi test di tipo quantitativo e altri di tipo qualitativo, i primi più orientati al dato statistico e matematico, i secondi invece più personali, capaci di svelarci la reale interazione dell’utente con il nostro sito.
Tradurre i problemi in ipotesi. Abbracciare l’errore
Per adottare il giusto mindset CRO, manca un ultimo passo: l’approccio all’errore.
La mancata conferma delle ipotesi alla conclusione dei test non rappresenta un fallimento, al contrario: è comunque un risultato, anche se negativo, che fornisce spunti di riflessione e margini di miglioramento.
Sono davvero poche le possibilità di individuare ogni problematica al primo colpo, con un unico test. Al contrario le ipotesi andranno aggiornate di volta in volta per procedere alla ri-verifica.
In tre parole: imparare dagli errori. Capire cosa non ha funzionato permette anche di accumulare esperienza sulla formulazione delle ipotesi, la scelta e l’elaborazione dei test successivi.