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CRO e psicologia: tattiche di persuasione nel digital marketing, tra bias e UX

Ecco un estratto della nostra intervista sui bias cognitivi, a cura di Alessandro Martin e della redazione di Manageritalia.

Ogni giorno ci troviamo di fronte a migliaia di decisioni che devono essere prese immediatamente: ci possiamo fidare di questa persona? È il momento giusto per attraversare la strada? Posso mangiare un’altra fetta di torta? Il cervello però dispone di risorse limitate e per gestire tutta questa pressione deve necessariamente usare delle scorciatoie o bias cognitivi che gli permettano di prendere decisioni in modo efficiente.  Ma cosa centrano i bias cognitivi con il miglioramento dei tassi  i conversione?

Marketing Services.

Nel 2011, Daniel Kahneman ha teorizzato, nel suo libro “Thinking fast and slow”, la presenza di due sistemi coesistenti all’interno del cervello umano:

  • Il sistema 1, sempre attivo ed automatico, veloce e poco dispendioso a livello di energie, perché basato su scorciatoie, intuizioni, abitudini e pregiudizi sedimentati.
  • Il sistema 2, che si attiva per task specifici, più lento, faticoso da sostenere, adatto a compiti logici e analitici.

La maggior parte delle decisioni sono prese dal sistema 1: questo significa che fare leva sulle emozioni degli utenti e potenziali clienti può portare ad orientare efficacemente le loro decisioni di acquisto e quindi generare campagne di digital marketing e siti più efficaci e profittevoli.

Ma quali sono i principali bias cognitivi? E, soprattutto, come possiamo utilizzarli in ottica CRO?

  1. L’Anchoring Effect si riferisce al fatto che spesso facciamo troppo affidamento sull’informazione iniziale a nostra disposizione, quando siamo chiamati a prendere una decisione. Per sfruttare questo bias in ottica conversion un ottimo esempio sono le tabelle di pricing sui siti che offrono diversi piani tariffari; Elencare i prezzi al partire dal più costoso permette di ancorare la percezione del valore del prodotto ad una cifra più alta facendo percepire come più convenienti gli altri piani.
  2. Il Bandwagon Effect entra in gioco quando ci fidiamo del comportamento della massa e tendiamo ad allineare i nostri comportamenti di conseguenza. In un’e-commerce, in questo senso, si può far leva sulla forza delle recensioni degli altri clienti, per focalizzare l’attenzione e creare fiducia negli utenti;
  3. Diamo più valore alle perdite rispetto ai guadagni. Questo l’enunciato del terzo bias, la Loss Aversion: secondo i più, vale la pena “scommettere” solo quando la vincita potenziale è il doppio della perdita. Inserire dei countdown e creare offerte a tempo limitato è un modo per sfruttare questo bias;
  4. Secondo l’Halo Effect, la caratteristica più evidente di qualcuno influenza il nostro giudizio su tutti gli aspetti della persona, per una esagerata coerenza emotiva. Ecco perché l’estetica conta così tanto: le persone attraenti sono generalmente ritenute più degne di fiducia e vengono più apprezzate dei meno avvenenti. I volti noti dei testimonial giocano proprio questo ruolo: affiancare un brand ad un personaggio noto consente al brand stesso di ereditare la percezione positiva che quel personaggio ha.
  5. L’Identification Bias è il meccanismo mentale per il quale tendiamo a essere più predisposti a un’azione se riusciamo a identificare un altro individuo. Un buon esempio sono le campagne legate al settore charity: immagini di volti persone con un nome e una storia reale alle spalle, ci portano a voler donare di più, perché ci sembra di conoscere davvero il soggetto, creando con lui una relazione di empatia immediata.

Le euristiche e i bias cognitivi sono una risorsa per il nostro cervello, perché lo aiutano a prendere decisioni più immediate, senza sprechi di energia e tempo (anche se spesso fondate su preconcetti). Sono però anche una risorsa per i marketer, che possono ricorrervi per costruire strategie efficaci e veicolare messaggi più persuasivi.