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Bias Cognitivi e Conversion Rate Optimization: conosci i preconcetti dei tuoi utenti

Il bias si basa sulla soggettività, dunque, e in quanto soggettivo e influenzato dai processi mentali peculiari del soggetto… può indurre in errori di valutazione.

Cos’è un bias cognitivo? Sostanzialmente un pregiudizio nel ragionamento: in psicologia, è un costrutto non necessariamente logico, una conclusione soggettiva a cui l’individuo arriva senza nessi logici di causa-effetto.

Esistono molti bias codificati: andremo a elencarne alcuni dei più comuni – sicuramente vi sarà capitato un “cortocircuito mentale” di questo tipo, ogni tanto – e, soprattutto, a cercare di comprendere come utilizzarli per migliorare il percorso dell’utente sul nostro sito.

Confirmation Bias: quando l’utente vuole solo avere ragione

Il primo bias che analizziamo è il più comune in assoluto: si parla di confirmation bias quando un soggetto non vuole realmente informarsi su un prodotto, un brand o un servizio (ma anche una teoria scientifica o medica, o un programma politico) ma semplicemente trovare risultati che confermino una sua idea preconcetta, che non ha nulla di razionale.

Se unite la frequenza del ragionamento tramite bias all’estemporaneità dell’impulso all’acquisto, capirete che i vostri utenti e potenziali clienti sono del tutto irrazionali.

Questo bias può essere pericoloso ed è sicuramente alla base di fenomeni sociali ormai in grande espansione, quali fake news e “teorie del complotto”. In questo senso, il confirmation bias è amplificato dal cosiddetto effetto Dunning-Kruger, ossia il rapporto inversamente proporzionale tra la propria convinzione di essere nel giusto e le proprie competenze su un certo tema.

A livello di marketing è bene fare attenzione a questo bias soprattutto in termini di brand awareness e gestione di eventuali crisi di reputazione: quando un concetto si ancora nella mente del consumatore, si autoalimenta ed è davvero difficile estirparlo, basti pensare a come la questione “olio di palma” sia diventata un vero affare mediatico, a suon di migliaia e migliaia di ricerche mese per i brand più associati con questo ingrediente messo “al bando” dagli utenti.

Ancoraggio: la prima informazione è quella giusta (o comunque quella che sceglieremo)

Il soggetto generalmente si “fissa” con la prima informazione ottenuta su un argomento o prodotto: è a partire da questo ancoraggio che costruirà i ragionamenti e le azioni successivi.

Legato al concetto di cui sopra, c’è anche il cosiddetto ancoraggio: un bias che porta l’utente a fare troppo affidamento su un’informazione iniziale quando deve prendere una decisione.

In sostanza, significa che le persone tendono a farsi influenzare da un’informazione iniziale, anche poco correlata e arbitraria, nel fare una valutazione.

Ad esempio, dal concessionario di auto, il prezzo iniziale offerto per una vettura usata, impostato all’inizio della trattativa, pone un valore arbitrario per le discussioni successive. Ci si basa solo sul fatto che su un cartello posto sul cofano del veicolo c’è scritta una certa cifra, che verrà presa – ci si ancorerà ad essa – come costo medio ragionevole per quel prodotto.

Si può sfruttare questo meccanismo mentale per tarare in maniera strategica le proprie proposte a livello di pricing.

Identificabilità: se mi immedesimo, mi lascio coinvolgere di più

Riuscire a dare un volto a un Brand o a una causa, intessendo una relazione personale con gli utenti, porta vantaggi dal punto di vista delle conversioni.

Siamo umani e, in quanto tali, la nostra emotività influenza la sfera razionale. Il che significa che le nostre decisioni spesso derivano da sentimenti e coinvolgimento empatico, più che da mero calcolo.

A parità di bontà e onestà di un brand del charity, ad esempio, tenderemo a “preferire” associazioni che si battono per una causa a noi cara – perché soffriamo anche noi di una certa malattia o abbiamo amici/parenti che ne soffrono, perché abbiamo fatto un viaggio in un certo Paese del mondo e ci sentiamo vicini alle difficoltà della popolazione locale etc.

Più in generale, spesso dare un volto a queste campagne smuove le coscienze molto più che fornire solo spiegazioni e numeri freddi: ecco perché molte ONLUS mettono l’accento sul fatto di poter aiutare, tramite la donazione, non un generico gruppo di bambini ma proprio quel bambino nello specifico, che ha un nome e un’esperienza di vita unica.

Avversione alla perdita e decisioni a tempo: meglio non perdere che guadagnare

Meglio guadagnare 10 euro o non perderne 10? Secondo il meccanismo codificato da questo bias, la mente è portata a rifiutare di perdere un vantaggio, un’occasione o un’offerta. Con l’incentivo della lancetta che corre.

L’istinto di sopravvivenza si manifesta nell’uomo attraverso l’avversione alla perdita. Significa che consideriamo più utile evitare di perdere qualcosa che non sapere che stiamo guadagnando lo stesso identico qualcosa… anche se nella sostanza, il concetto è identico.

È bene tenerne conto, soprattutto a livello di copy: un messaggio pubblicitario che ci intima di “fai questo e smetterai di sprecare X” sarà di norma più efficace di uno che ci promette “fai questo e otterrai X”.

A questo concetto si relaziona il fenomeno delle decisioni “a tempo”.

Se siete delle persone indecise, avrete certamente sperimentato quel senso di ansia che vi prende quando, in un nuovo ristorante, tutti al tavolo hanno già deciso e il cameriere sta arrivando da voi per l’ordinazione.

Il cervello reagisce alla pressione in maniera piuttosto univoca: è portato a prendere una decisione subito. Qualsiasi decisione, una a caso, basta togliersi dall’impiccio e far smettere lo stato di allarme.

Ciò che spesso risulta, nella situazione-tipo del ristorante ad esempio, è che o scegliete qualcosa a caso e vi ritrovate nel piatto qualcosa che non vi piace, oppure optate sempre per la stessa pietanza, nota e a prova di sbaglio.

Ma come applicare questa “fretta di agire” ai nostri obiettivi di marketing? Sfruttando l’ansia di perdere l’offerta, attraverso un percorso guidato, un’opzione univoca, che è ciò che vogliamo far fare al nostro utente.

Applicando timer e counter alle offerte: se una subscription alla vostra newsletter è legata non solo a uno sconto sui prodotti del vostro e-commerce ma è anche circoscritta a un breve lasso di tempo, avrà risultati migliori rispetto alla stessa operazione senza la variabile timing.

Lo studio dei bias fa parte dell’ottimizzazione del percorso di conversione dell’utente: conoscere e ascoltare i propri potenziali consumatori, anche nei loro più “oscuri” processi mentali, è utile al business.

Alessandro Martin Head of CRO di Pro Web Consulting