Parte del nostro lavoro quotidiano riguarda l’incessante ricerca di strumenti e pratiche in grado di aumentare l’efficienza dello sviluppo web e sposarne le necessità con quelle della SEO: nel digest di questo mese dedichiamo particolare attenzione a queste tematiche, parlando di Google, WordPress e altri animali fantastici.
Con MUM, Google diventa un po’ più Pinterest
Nel nostro approfondimento mensile relativo all’advertising menzionavamo l’accordo in corso di definizione fra Google e le compagnie proprietarie di TikTok e Instagram che potrebbe portare, in un futuro non remoto, a visualizzare in SERP contenuti estratti dai due social network, al pari di quanto già avviene, dal 2015, per Twitter. Questa novità si inserisce nell’ambito di un movimento di cambiamento generale della SERP che ha alla sua base MUM e il modo in cui esso ristrutturerà il concetto stesso di ricerca.
Google ha infatti annunciato di voler rivoluzionare profondamente la pagina dei risultati di ricerca in modo da rendere più intuitiva l’esplorazione di determinati argomenti. Predominante sarà l’aspetto visivo: la nuova interfaccia permetterà infatti di compiere ricerche correlate attraverso particolari widget in maniera nettamente più rapida che in passato. Approfondiremo questo tema nel prossimo focus in pubblicazione sul nostro blog, nel frattempo però precediamo ogni allarmismo dicendo che niente di tutto ciò comporterà la fine del nostro amato lavoro.
Prova ne è il fatto che, a distanza di qualche settimana dal Title Tag Update, Google ha fatto un parziale rollback dell’aggiornamento, riportando in SERP circa l’87% dei title originari inseriti dai proprietari di siti web nel codice HTML delle loro pagine. Questo elemento continua dunque a rivestire, al pari di altri fattori tradizionali di posizionamento, un ruolo chiave per la SEO. Arrivano però al contempo, da parte di Google, alcuni consigli in più per evitare la sostituzione “d’ufficio” dei Title Tag: titoli ormai obsoleti, vuoti per metà o inaccurati, oltre ai classici boilerplate, sono i motivi principali delle correzioni approntate da Google nella sua SERP.
Grafica a prova di algoritmo: la checklist che unisce sviluppatori, designer e SEO
La scelta del tema è uno dei momenti più delicati nello sviluppo di un nuovo sito web o nella ristrutturazione di un sito già esistente. Quel che infatti un tema è o non è in grado di fare ha un impatto profondo sulle performance organiche del dominio, e sarebbe dunque consigliabile sottoporlo a un oculato stress test prima di optare definitivamente per la sua adozione.
A tal proposito, Mueller consiglia sempre di provare il tema su un dominio di test (da bloccare, ovviamente, agli spider di Google tramite robots.txt) su cui possibilmente siano stati caricati i contenuti già presenti sul sito precedente: in questo modo si avrà già un’indicazione di massima del fatto che il tema prescelto possa rispondere alle proprie esigenze. Non bisognerebbe poi limitarsi, nell’elaborazione di un giudizio, all’esperienza fruibile da frontend, ma anche analizzare il codice generato in automatico: se è “pulito”, le possibilità di inceppamenti al momento dell’aggiornamento successivo si ridurranno; al contempo, sarà plausibile attendersi performance superiori in termini di caricamento, dunque una migliore UX e, in ultima analisi, una valutazione positiva del sito da parte dell’algoritmo.
CSS e Javascript non ottimizzati, un numero esagerato di risorse esterne necessarie per il funzionamento del tema (script, webfont), il ricorso a decine di plugin per permettere il normale corso del sito sono tutti fattori che possono impattare negativamente la SEO del tuo sito. In questo senso, Gutenberg è considerato il site builder di fiducia dalla maggior parte degli sviluppatori WordPress.
Per quanto riguarda gli e-commerce, Google ha ultimamente aggiunto alla guida per gli sviluppatori un’intera sezione ricca di consigli utili per l’ottimizzazione trasversali a tutte le “superfici” Google (da Search a Shopping, da Maps a Lens). La guida è consigliata soprattutto ai web developer, ma i SEO più tech savvy potranno trovarvi spunti interessanti.
Le ultime da Google Search Console e Bing Webmaster Tool
Alcuni utenti hanno lamentato, nelle ultime settimane, la defezione dalla console di Google di diverse centinaia di URL. La novità ha destato un po’ di allarmismo: molti hanno infatti pensato a importanti problematiche di scansione, seppure il pannello apposito di GSC non segnalasse errori. John Mueller ha però rassicurato tutti spiegando che Google sta cominciando a mostrare, all’interno dei rapporti di GSC, solo un campione degli URL di un sito, corrispondente alla porzione di pagine effettivamente analizzate dall’algoritmo.
Un numero inferiore di URL nel pannello rispetto al solito non significa dunque che le altre abbiano qualche problema, ma semplicemente che Google non le ha prese in esame, accontentandosi di un campione ritenuto significativo. Questa nuova politica si applica in particolare ai rapporti aggregati come quelli relativi ai Core Web Vitals, alle pagine AMP, ai dati strutturati e alla esperienza mobile. Mueller ha puntualizzato inoltre che il campione analizzato può cambiare nel tempo, e che se le pagine X, Y e Z non sono presenti adesso su GSC non significa che non lo saranno in futuro. Quel che conta, dunque, non è il numero di pagine visualizzate su GSC ma la loro performance, che dovrebbe dare un’idea di massima della performance generale del sito intero.
Lato Microsoft, intanto, il Bing Webmaster Tool è stato arricchito di una funzionalità denominata URL Submission API che consente di informare il motore di ricerca di ogni cambiamento apportato al contenuto del proprio sito (pagine aggiunte, modificate o cancellate): qui puoi trovare la guida per impostare la tua Bing API key. Si tratta grossomodo della stessa funzionalità presente in passato anche sulla console di Google e successivamente eliminata, a conferma del vecchio adagio “Bing è una versione più arretrata di Google”. A tal proposito fa sorridere la notizia recente secondo cui la ricerca più comune su Bing sarebbe proprio “Google”: l’informazione è riportata in un documento legale presentato da Google nell’ambito di un appello contro una sentenza del 2018 in materia di antitrust.
Lighthouse si aggiorna alla versione 8.4.0 e risolve le beghe di WordPress
Se hai un sito WordPress e negli ultimi tempi hai visto i tuoi punteggi di LCP (Largest Contentful Paint) calare drasticamente senza aver fatto modifiche sostanziali al tuo sito, la colpa potrebbe non essere del tutto (o per niente) tua. Con l’aggiornamento di WordPress alla versione 5.4, infatti, è stato implementato l’attributo HTML Lazy Load, un attributo che indica al browser di ritardare il download delle immagini non comprese nella schermata iniziale dell’utente in modo da non rallentare il primo caricamento della pagina: per quanto in realtà questa novità fosse mirata a velocizzare il caricamento dei siti web, dal momento che l’attributo veniva applicato in automatico anche all’immagine di copertina – in genere compresa nella schermata iniziale dell’utente – questo determinava un calo del punteggio LCP.
Con l’aggiornamento di Lighthouse alla versione 8.4.0, però, il problema sembra finalmente sotto controllo. Attraverso la nuova interfaccia è possibile individuare tutti gli elementi per i quali sia (indebitamente) presente l’attributo Lazy Load. La versione 8.4.0, già online su PageSpeed Insights, comprende anche un nuovo audit che segnala l’assenza del meta tag del viewport mobile nella sezione <head> del codice HTML: avere questo dato a disposizione significa arginare i problemi che ne conseguono in termini di First Input Delay. Nella documentazione pubblicata da Google si fa infatti presente che nella metà dei siti che riportano un punteggio insufficiente per quanto concerne il FID non è stato impostato il viewport mobile.
Tieni presente che se hai avuto un calo improvviso del traffico organico in corrispondenza della data del rollout del Page Experience Update, quest’ultimo potrebbe non essere la causa reale del tuo problema. Come dichiarato infatti da John Mueller, gli effetti di questo aggiornamento sono stati graduali, spalmati in un lungo periodo fra luglio e agosto 2021: ciò si applica sia agli effetti negativi sia a quelli positivi dell’update.